Ormai sono passati dieci anni dalla sua morte e probabilmente 40 dalla prima volta che ci incontrammo. Il nostro primo incontro me lo ricordo ancora. Fu in un locale di Londra, il Bag O’Nails. I nostri occhi entrarono in contatto. Banale: ma più tardi dissi ai ragazzi che, se non fosse stato per quel momento, loro non ci sarebbero stati. Quella sera stessa andammo assieme in un altro locale, lo Speakeasy. Mi ricordo che quella sera sentii per la prima volta “A whiter shade of pale” dei Procol Harum. Divenne la nostra canzone. E sebbene Linda conoscesse un sacco di grandi musicisti –aveva lavorato per il primo numero di “Rolling Stone” -, era anche una tipa semplice.
Era sempre molto bella. Una ragazza molto naturale e con i piedi per terra. Era anche una donna. Fino ad allora avevo avuto storie con ragazze. Linda era una vera donna. Aveva anche una figlia di cinque anni e io ero sinceramente impressionato dal modo in cui riusciva a fare tutto. Non so, ci riusciva e basta.
Linda non fece moltissime foto dei Beatles; la maggior parte le scattò in studio, specialmente ad Abbey Road. Aveva tatto e non interrompeva. Aveva questo dono magico di riuscire a non mettersi in mezzo.
Linda aveva delle dita molto graziose e aveva un modo così elegante ed esperto di tenere in mano una macchina fotografica. Lei conosceva sempre il momento giusto in cui scattare. Forse era proprio questo il suo grande segreto.