E’ la prima ma non sicuramente l’ultima volta. Ho fatto un film perché volevo imparare come si fa e perché da tanti anni volevo farlo. Ma ho dovuto trovare il momento giusto per poter mettere da una parte la mia carriera di cantautrice.
A Guy ho chiesto se poteva darmi un consiglio prima di cominciare, perché non avevo veramente idea di cosa volesse dire gestire un set cinematografico, e non tanto nella fase di montaggio, quanto prima dell’inizio delle riprese. E lui mi ha detto: «credere in sé stessi, questa è la cosa più importante che devi trasudare sul set», ed è stato davvero un buon consiglio.
Certo che mi identifico con il film, c’è una parte di me in ogni personaggio, anch’io ho lottato prima per fare la ballerina poi per cantare, anch’io non sapevo come pagare l’affitto e dovevo arrangiarmi.
Trent’anni fa la felicità per me era convivere con me stessa, avere un tetto sulla testa, sopravvivere a New York e sperare che qualcuno ascoltasse la mia voce. Oggi per essere felice mi basta non perdere quello che ho. Non significa che il successo mi abbia dato sicurezza, l’ansia e la trepidazione davanti a un nuovo impegno non sono così lontane da quelle che vivono i personaggi del film.