Ancora poche ore e poi partirà lo show più grande della storia. La commemorazione in diretta tv da Los Angeles per Michael Jackson che sarà seguita, si stima, da un miliardo di persone.
E mentre continuano ad arrivare fuori allo Staples Center fiori e corone da ogni parte della Terra, in primis rose rosse e bianche dal Giappone, Lou Ferrigno, che stava allenando la popstar in vista dei suoi 50 concerti londinesi, ha parlato sul Daily Mirror del Michael pubblico e privato sommerso dai debiti.
Michael era sottoposto ad uno stress tremendo ed è questo che lo ha ucciso. Aveva accumulato debiti per 400 milioni di dollari – poco meno di 300 milioni di euro – ed era come se avesse una pistola puntata alla tempia: per questo aveva deciso di tornare sulle scene.
Era un ragazzo fantastico, timidissimo ma molto dolce, che era consapevole di tutta l’attenzione di cui godeva, ma che quando era con me diventava una persona estremamente semplice. A legarci, è stata anche la nostra comune infanzia, fatta di soprusi e di dolore per colpa dei nostri padri. La sua via di fuga fu la musica, mentre la mia fu il body-building. In aprile, mi chiese di aiutarlo a rimettersi in forma in vista dei concerti di Londra: così andavo da lui tre volte a settimana con i manubri da poco più di un chilo per fargli fare gli esercizi, anche se Michael non amava i pesi, perché diceva che non voleva che gli venissero delle spalle e dei muscoli come i miei. Al che, io lo prendevo in giro, dicendogli che in nessuna maniera dei manubri di un chilo gli avrebbero fatto venire delle spalle grosse come le mie. Durante le sedute, parlavamo di tante cose: della vita passata e di quella presente, dei suoi sogni e delle sue speranze. Non c’erano guardie del corpo né security: lui non voleva nessuno intorno quando lavorava con me e spessissimo ascoltavamo della musica, Beatles e The Mama & The Papas in particolare. Michael mi ha pure insegnato il suo celebre Moonwalk, ma questo è un segreto che resterà con me.
Tra rivelazioni più o meno private, Ferrigno e Jackson hanno lavorato insieme fino alla fine di maggio.
Stava bene, era in forma esattamente come quindici anni fa e non c’era alcun segnale che mi facesse pensare che prendesse dei farmaci. La sua flessibilità, poi, era in costante miglioramento, perché gli esercizi facevano ormai parte della sua routine e questo era un dato molto importante per una persona con il suo fisico e che non ballava da tanto tempo. L’ultima volta che l’ho visto è stato tre settimane fa, mentre facevo degli spettacoli sulla East Coast: eravamo d’accordo di stare un po’ insieme prima che Michael andasse in Inghilterra, ma poi mi è arrivata la terribile notizia della sua morte. E’ stato un vero choc: all’inizio, pensavo fosse un macabro scherzo, invece, purtroppo, era tutto vero. Mi sono sentito come dopo l’11 settembre, con un grande senso di vuoto e una perdita enorme nella mia vita.
Un sentimento ormai sempre più comune.
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