Abbiamo imparato a conoscere Uri Geller, grande amico di Michael Jackson, per tanti motivi. Il sensitivo, qualche setttimana fa, raccontò di un desiderio intimo di Jacko, ovvero lasciare una traccia di sé. Ad esempio attraverso la clonazione. Da qui, la sua scelta di far congelare un campione di sperma nella speranza di poter tornare in vita dopo la morte.
Ma Uri è anche l’autore di un documentario che presto uscirà nelle sale, My friend Michael Jackson: Uri’s story, con scene inedite della vita del cantante in svariati contesti. Oltre ad aver sottolineato l’enorme stress che coinvolgeva il cantante, in vista delle 50 date all’Arena 02 di Londra, e a ricordarlo come “un uomo solo” che “beveva amore” dai fan che lo circondavano.
Adesso Geller, famoso negli anni Settanta perché si diceva che fosse in grado di piegare i cucchiai con la forza della mente, ha rilasciato l’ennesima testimonianza sul suo amico defunto, spiegando di conoscere bene la dipendenza di Jackson dai farmaci.
Io non l’ho mai visto prendere niente, ma ho visto i momenti successivi e questi a volte erano sconvolgenti. Un giorno non riuscii a svegliare Michael. Afferrai il suo corpo e cercai di svegliarlo. Ero veramente preoccupato. Dissi: ‘Michael, ma cosa hai fatto, ma cosa hai preso? Michael, apri gli occhi, ma stai bene?’. Un’altra volta lo vidi a letto che non si muoveva più. Gridai: ‘Michael, Michael, basta, Michael così ti ammazzi, così ti uccidi. Ma guardati, il mondo ha bisogno di te’. E lui invece era lì, a letto, che mi guardava fissandomi e sono sicuro che avesse capito. Ci furono dei momenti in cui cercammo di fargli capire, obbligandolo ad ascoltarci, che non poteva andare avanti così. Ma lui diceva: ‘Non ditemi nulla, questa è la mia vita privata, per favore piantiamola qui’.
Semmai ‘era’ la sua vita privata.