Il mondo della moda piange la morte di Alexander McQueen, stilista britannico non famosissimo alle nostre latitudini, ma ben noto a chi fa della moda una ragione di vita (tanto per capirci, se chiedete a Victoria Beckham, ad esempio, vi elencherà vita, morte e miracoli del designer).
La notizia è stata confermata dalla portavoce dello stilista, la quale però non fa eccenno alle cause del decesso, sebbene in Inghilterra si parli – neppure tanto sottovoce – di suicidio (il Sun dice esplicitamente che McQueen si è impiccato).
Quarantuno anni ancora da compiere (avrebbe spento le candeline il prossimo 17 marzo) e una vita costellata di successi: perché mai un uomo così dovrebbe compiere un simile gesto?
Beh, la scorsa settimana era venuta a mancare la sua adorata mamma e lui aveva pubblicato dei messaggi su Twitter per comunicare quanto fosse depresso. E all’origine dell’insano gesto ci sarebbe proprio questo male di vivere, che né il successo né i soldi riescono a far passare.
Tanto per dare un senso al nostro lavoro di ricerca, ricordiamo che Alexander McQueen proveniva da una famiglia piuttosto modesta, con un padre tassista in quel di Londra. Il successo arrivò grazie alla caparbietà nell’inseguire l’obiettivo, che lo portò a lasciare la scuola a soli 16 anni per mettersi alle dipendenze di Savile Row e di Gieves & Hawkes, prima di trasferirsi a Milano per lavorare sotto l’ala protettiva di Romeo Gigli.
Ha lavorato per Givenchy e poi ancora per Gucci, cercando di offrire sempre un tocco di originalità alle proprie creazioni e facendo parlare di sé per sfilate stravaganti (come quando fece salire in passerella una modella amputata delle gambe su protesi intagliate).
Insomma, non si può certo dire che la sua sia stata un’esistenza anonima, ma come detto il successo non è tutto nella vita ed Alexander McQueen va ad aggiungersi alla lunga lista di “star” fortunate solo per metà.